Adesso il silenzio…..

Il silenzio non lo riesco a sopportare; non riesco a vivere senza i rumori, senza i suoni, mi manca la voce di mia madre,  mi manca il  frastuono dei  clacson. Mi manca maledettamente non riuscire a sentire.

Non so perché tra tanti sia successo proprio a me, è stato facile, è stato improvviso, tac ed il mio udito si è spento. Mi sembra di impazzire. Mi alzo ed un impeto mi porta a cercare aria e luce. Sono isolato dalla realtà, il mondo gira vorticosamente intorno a me senza sfiorarmi.

Vedere la realtà come in un film, mi hanno assegnato il ruolo di spettatore.  La mia vita fino ad ora è stata come quella di tanti altri, famiglia, lavoro, le cose si succedono senza che io mi renda veramente conto di quello che accade, guidato dagli inevitabili cliché di una vita normale.

E’ strano ma quando all’improvviso ti viene a mancare qualcosa,  tutto ti appare sotto un’altra dimensione, sotto un’altra luce; cose che prima consideravi scontate, a cui non davi importanza ora ti mancano da morire.

E se invece  ero sordo già ancor prima di aver perso l’udito?

Quante volte le cose mi hanno sfiorato soltanto lasciandomi indifferente, non curante, freddo, distaccato? Quella non era una forma di sordità? Allo stesso tempo quante volte, ho desiderato di staccare l’audio, anche solo per un istante per non sentire i consigli ‘spassionati’ degli amici, le critiche dei genitori o solamente il mio capo che continuava  a sparare cazzate.

E se questa perdita fosse in realtà una conquista? se servisse ad interpretare i suoni della mia anima in modo differente ed allo stesso tempo percepire quelli del mondo esterno con altri mezzi, per altre vie?

Mi sono diretto nel salone, c’e la mia mitica chitarra. Mi sono steso sul divano, ho portato la chitarra alle braccia ed ho iniziato ad arpeggiare due accordi. Pur non sentendo, le vibrazioni della cassa armonica mi trasmettono lo stesso la dolcezza di quelle note.

Mi rilasso e credo di essermi addormentato di colpo.

N.B Racconto pubblicato per il Salotto del Caffè di Luca Carbonelli 

Il Corpo di Napoli

Ogni mattina, con il mio zaino in spalla, scendevo le scale, aprivo il portone e iniziava la mia passeggiata nel mondo della fantasia.
Sì fantasia, perché per un bambino di 9 anni passeggiare tra i Decumani era come visitare un mondo fantastico, ogni vicolo era la rappresentazione di un mondo ed ogni faccia diveniva un personaggio.

Appena dopo piazza San Domenico Maggiore, proseguivo per Piazzetta Nilo; nel vicino Largo Corpo di Napoli, a ricordare la colonia alessandrina che aveva abitato quei luoghi ai tempi dell’impero romano, c’era la statua del Nilo.
Davanti alla statua c’era sempre seduto un vecchio signore, dall’aria severa ed austera, ed io non potevo fare a meno di fissarlo, mi incuriosiva.
Nel mio mondo sarebbe potuto essere benissimo un Orco o magari un Mago, ma in realtà chi era?
Me lo sono domandato mille e mille volte, la sua storia mi affascinava.

Quel giorno fu lui a chiamarmi:
“Per favore ragazzo, avvicinati”
Ero un po’ spaventato, ma la voglia di sapere vinse.
“Eccomi, signore posso aiutarla?”
“Si, tu mi aiuterai, tu sarai quello che io non potrò più essere, tu sarai il nuovo custode dei segreti di Napoli”
“Sono solo un bambino, come farò?”
“Ti ho osservato bene, è vero tu sei un bambino, ma ami questa città, lo si legge nel tuo sguardo, quando cammini i tuoi occhi ammirano tutto ciò che ti circonda”
“Non capisco signore, Lei chi è?”
“La statua, vicino alla quale sono seduto, rappresenta il Corpo di Napoli: qui si racconta che ci sia il centro esatto della nostra città, qui sono racchiusi tutti i suoi segreti ed io sono il loro custode.
Se tu vorrai te li insegnerò, ci vorrà del tempo, ma tu puoi riuscirci, io sono vecchio ormai e devo trovare un successore”
“Quali segreti?”
“I misteri, le leggende e le storie che anno dopo anno sono accadute in questi luoghi; ogni singola strada, ogni singola pietra è stata testimone del passato.

I giovani di oggi corrono senza fermarsi mai, corrono accecati dal futuro e spesso dimenticano, dimenticano le loro origini, dimenticano la loro storia, dimenticano le loro tradizioni. Io sono qui per ricordare il passato, perché senza di lui il futuro non arriverebbe mai.”
“Voglio essere il nuovo guardiano della memoria, voglio conoscere tutto, non ci sarà giorno, non ci sarà notte in cui non penserò a ciò, ora ho una missione e devo portarla a termine.”
“Inizieremo subito, ogni pomeriggio tu verrai qui e io ti dirò tutto quello che so e ti mostrerò posti mai visti e luoghi fantastici”.
È stato così che è iniziato il mio viaggio dentro Napoli, pian piano, ho iniziato a scoprire un mondo a me del tutto nuovo ed oscuro, i miei compagni di viaggio sono stati, la fantasia e la curiosità.

La mia guida mi ha mostrato i tesori inesplorati e svelato quelli nascosti, dopo un po’ il centro storico è diventato il mio ambiente naturale, conoscevo qualunque strada e ogni cosa fosse successa lì; la cosa mi piaceva molto, mi faceva sentire speciale.
Quel pomeriggio ero andato sotto la statua per l’ennesima lezione, ma stavolta lui non c’era, al suo posto un biglietto:
“Caro amico non ho più cose da insegnarti, quello che io so ora lo sai anche tu, il mio compito si è esaurito, ora il nuovo depositario della memoria sei tu”

Ancora oggi, a distanza di trenta anni da quel giorno, ogni volta che passo in quella piazza, davanti a quella statua, mi prende un tuffo al cuore, ed il mio pensiero vola a cercare quel vecchio. Mi mancano la sua barba e le sue mille parole…..non lo dimenticherò mai e soprattutto, non dimenticherò mai quei pomeriggi passati a scoprire l’anima della mia città.

N.B. Racconto scritto per un concorso circa 10 anni fa

Finalmente libero….di pedalare

C’era una volta un bambino che dalla sua finestra guardava i suoi coetanei andare in bici, c’era una volta un bambino che guardava tutte le tappe del Giro d’Italia in TV sognando di scalare le vette più alte e di vincere tutte le volate.

Beh mi direte cosa c’è di strano in questo?

Nulla solo che quel bambino non sapeva andare in bicicletta, perché il suo papà a sua volta non sapeva andarci e quindi non gliel’ha mai insegnato.

Quando sei piccolo, è difficile vincere le paure e provarci!

Gli anni passavano e quel bambino con il suo sogno nel frattempo si trasformava prima in un ragazzo e poi in un uomo.

Il suo sogno era sempre lì chiuso nel cassetto e le rinunce aumentavano: Quante volte ha finto per evitare le  uscite divertenti con i ragazzi della sua età.

“Ragazzi fittiamo le bici e facciamo un giro dell’isola?”

“Antonio ma tu hai una bici?”

Queste erano solo alcune delle domande cui trovare spesso una risposta di fantasia o di comodo.

Immaginate la vergogna di un adolescente nel dire “non so andare in bicicletta”?

In realtà a qualche amico fidato la verità era stata confidata ma senza ricevere aiuto solo magari la classica battuta “dai non può essere, è facile ci riescono tutti”.

Si è vero è facile forse come  il primo bacio o come nuotare…. Eppure molti si bloccano e pure io!

Negli anni del Liceo la bici non era di moda ma quasi tutti avevano il motorino (ricordate il Sì o il Ciao?), forse però in quegli anni trovare una scusa era più semplice ……infatti, si poteva usare questa:

“Mio padre non vuole che abbia una moto o i miei pensano sia pericolosa”.

Per fortuna a 18 anni l’agonia è finita, con la conquista della patente e della prima auto, infatti non c’era più necessità delle due ruote, eppure dentro di me continuava ad esserci un desiderio tremendo di provarci…. Ma non ero ancora pronto.

Ero insicuro e preso da tante cose, la prima fidanzata seria, l’università, gli amici.

La vita ha fatto il suo corso con la laurea, il lavoro, il matrimonio e i figli……. Una vita sempre a 4 ruote, fino a quando 3 anni fa all’età di 38 anni è scattato un click nella mia testa.

Sapevo che mio cognato aveva una mountain bike che non usava nel suo garage e allora un sabato mattina gli ho chiesto se potevo prenderla  e nel mio garage ci sono salito su.

Ero solo, ero goffo, ero incapace ma ero felice.

Ho iniziato a fare piccoli giri nel garage e poi subito dopo nel parco sotto casa.

Avevo problemi a fare le curve ma tutto sommato ero in equilibrio, finalmente capivo cosa si intendesse per la facilità…. S’intendeva che se pedali la velocità ti tiene in equilibrio.

In realtà non è così semplice, nonostante la sua semplicità, la bicicletta rimane un sistema il cui equilibrio è davvero difficile da comprendere e identificare appieno. In sostanza è come la storia del calabrone: un illustre scienziato una volta disse che secondo i suoi calcoli matematici, data la massa e la dimensione delle ali, il calabrone fisicamente non può volare. Quando un giornalista gli chiese “e allora perché vola?” lo scienziato rispose: “perché nessuno glielo ha mai fatto presente.

Dopo un po’ ho comprato tutta l’attrezzatura necessaria ed ho iniziato a uscire per strada da solo o con alcuni amici ed ho scoperto finalmente cosa vuol dire andare in bicicletta.

Ho visto e visitato posti mai visti e inaccessibili con le macchine, ho fatto salite molto dure come il mio adorato Vesuvio e discese altrettanto ardite in cui facilmente si arriva  a superare i 60 km/h.

Ho goduto di panorami mozzafiato come ad esempio nel mio giro a Positano e sopratutto mi sono sentito libero.

E ora?

Ora continuo quando posso a pedalare cercando di migliorarmi, anche se non è facilissimo avendo poco tempo a disposizione.

Una delle cose principali che ho fatto è stata insegnare subito alle mie due bimbe ad andare in bicicletta per evitare l’errore che mio padre aveva fatto con me.

Ci sono riuscito e ora pedaliamo spesso insieme tutti e tre.

Questa è la mia storia con la bicicletta e con il ciclismo, questa storia dimostra che se si vuole qualcosa si può anche imparare ad andare in bici a 38 anni…….

E ora sapete come mi sento?

Libero, libero, libero, mi sento libero.

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NB: Racconto scritto per il Concorso a Ruota Libera di Enel e …che non ho vinto…:(

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