Perché la rete libera il Sud dalla questione meridionale

“L’innovazione, con la Rete, ha al suo servizio velocità e quantità. Dovunque ci porti, non possiamo evitare di andarci”

Il Sud è una risorsa per il nostro Paese, questo è un dato di fatto! Tutti ne parlano: chi ipotizzando nuove politiche industriali, chi fantasticando il ritorno del Regno delle Due Sicilie. L’attenzione è molta ma è facile cadere nella demagogia. Spostando il focus sulla tecnologia e l’innovazione quello che vorrei capire è se davvero come si dice, queste sono le leve su cui puntare per risollevare il Meridione. Io credo di sì.

Pino Aprile, giornalista e scrittore, autore del libro “Mai più terroni

è convinto che la tecnologia sia l’arma con cui arrivare finalmente alla fine della Questione Meridionale

In che modo la tecnologia rende libero il Sud?

La Rete è un mondo senza distanze, dimensioni e senza ostacoli, frontiere. Chiunque vi entri, vale come chiunque altro e non importa da dove agisci; importa solo se fai clic ed entri in Rete o clic, e ne esci. Questo pone il Sud (non solo il nostro) penalizzato da mancanza di strade, aeroporti, ferrovie, nelle stesse condizioni di chiunque; e può competere alla pari, finalmente. E vince, quando ne ha le capacità. 

Puoi citarmi alcuni dei casi virtuosi che hai inserito nel tuo libro?

A Bisaccia, Comune terremotato dell’Irpinia, Patrick Arminio, 21 anni, nato a Basilea e rientrato al suo paesello, con i suoi coetanei mette su un’azienda di grafica con cui  progetta e conduce la campagna promozionale dell’ultimo cd di una pop star statunitense; dal Salento, un creativo produce per Google, in California (a giudicare dallo stipendio, a livelli altissimi) e due neodiplomati inventano “app” fra le più vendute dalla Apple. L’università di Lecce è ormai una multinazionale della ricerca, dell’innovazione: nei suoi laboratori si scopre come recuperare i metalli preziosi che vengono vaporizzati durante gli esperimenti (è, letteralmente, trarre oro da spazzatura); si mette a punto il primo microscopio tridimensionale; si varano sistemi di controllo dell’automazione per la Marina militare indiana; si isola una cellula iperassorbente che toglie la sensazione di fame e che darà luogo, secondo gli analisti, a una delle 15 più potenti economie del pianeta, nei prossimi anni. Mentre un giovane di Conversano, spendendo 200mila euro, mette a punto il più potente motore di ricerca e offerta di lavoro on line, rivendendolo poi per 30milioni di euro. E in Sicilia, un neolaureato di Scordia, da Milano organizza, on line, con volontari, il recupero della valle degradata del suo paese, poi vi torna e la trasforma in parco. Nei sei principali distretti dell’innovazione, al Sud, lavorano ormai già in 30mila: un quarto delle esportazioni italiane, nel settore, è prodotto da loro.

L’innovazione può fare tanto, anche se mancano alcune basi come democrazia, istruzione, infrastrutture?

La Rete è ormai un altro mondo, cui il vecchio tende a somigliare (cadono le frontiere, l’Europa si dota di moneta unica; l’impero sovietico si apre al mercato e alle idee, la Cina smette di essere un mistero e si riduce a concorrente). La Rete, il mondo punto-zero è la terza rivoluzione della storia dell’umanità, dopo la scoperta dell’agricoltura e quella industriale. Chi si abitua alla parità che c’è sul web, accetta sempre meno le disparità che trova quando spegne il computer. I vecchi poteri cercheranno di controllare anche questo territorio di libertà, ma è sempre più difficile, paradossalmente, si direbbe, proprio per la possibilità di farlo troppo: puoi controllare, in Rete, se vuoi, tutto di tutti. È tanto, che ti ci puoi perdere, rischi di non riuscire a tener chiuse tutte le porte, tutte insieme. La Cina cerca di abbinare controllo della gente con anarchia produttiva, ma è una battaglia persa. La rete è uno strumento attraverso il quale puoi istruirti, raggiungere chiunque, intraprendere. Tanto che, dal mondo 1.0 (passaggio di informazione da uno a uno), si è velocemente passati a quello 2.0 (da uno a tutti e da tutti a uno: non più comunicazione, ma comunità) e ora si discute di 3.0 e @democracy, ovvero la definizione di regole per governare il mondo e il popolo della Rete: solo Facebook, con un miliardo di frequentatori, è stato definito “il terzo Paese più popoloso del pianeta”. L’innovazione, con la Rete, ha al suo servizio velocità e quantità. Dovunque ci porti, non possiamo evitare di andarci.

Condivido molte delle opinioni e delle idee di Pino, ma non posso fare a meno di pensare che ci sia il rischio concreto di spostare la discriminazione. Non più territoriale ma forse anagrafica, nel Web i giovani sono avvantaggiati rispetto agli anziani oppure discriminazione tecnologica, non a caso si parla spesso di Digital Divide. Non tutti hanno accesso allo stesso modo alla tecnologia né in Italia né in altre parti del Mondo.

Forse è un sogno ma mi piacerebbe che la tecnologia riuscisse davvero a essere democratica senza guardare in faccia nessuno e garantendo a tutti le stesse possibilità.

Sul rapporto tra innovazione e Sud ho chiesto un parere sull’argomento anche ad un altro amico, lo scrittore Antonio Menna, autore del best sellerSe Steve Jobs fosse nato a Napoli

che ha un punto di vista più pragmatico

In che modo la tecnologia rende libero il Sud?

La tecnologia, intesa come nuovi media, può aiutare molto a superare ritardi storici di alcuni territori. Il sud può trarre dalla Rete, grosse opportunità, sia in termini di conoscenze sia in termini di movimento,  delle idee e dei prodotti. Uno degli ostacoli storici alla crescita dell’economia meridionale è stato proprio il mancato collegamento con i grossi mercati europei, la lontananza anche fisica. Oggi molte idee d’impresa e molti prodotti viaggiano con un click e questo accorcia le distanze, mette in campo anche i luoghi più remoti. C’è poi un’idea di libertà legata alla conoscenza, all’informazione, che, con la Rete, si allarga, include anche chi era tagliato fuori. Infine, la Rete è un luogo dove insediare talenti creativi, non necessariamente produttivi, senza grossi costi e facendo leva prevalentemente sulle abilità personali. Saltano le mediazioni, ciascuno può esprimersi e questo dà più forza a chi era lontano dai luoghi, ad esempio, dell’editoria cartacea, musicale, dai mercati dell’arte. Chi ritiene di avere un talento creativo può provare a esprimerlo anche lontano dai centri tradizionali del potere. E avere, magari, successo.

Perché molti talenti decidono di lasciare il Sud?

Le possibilità sono due: insistere, oppure andarsene. Non biasimo nessuna delle due scelte. Chi vuole insistere, è giusto che lo faccia, sapendo i rischi e gli ostacoli che ci sono. Chi se ne vuole andare ha il diritto di farlo, sapendo che comunque non è facile sradicarsi, rinunciare a pezzi della propria identità. C’è sempre un costo. Nel mio libro ho usato una storia paradossale non per dire che in Italia, e a Napoli, le cose non si possono fare, ma che si fanno con grandissima difficoltà, e che si perdono grosse potenzialità. Potremmo fare cento, e invece facciamo venti. L’ottanta per cento della forza dei nostri talenti lo disperdiamo su ostacoli, problemi, fattori esterni che non si vogliono affrontare o risolvere. Accesso al credito, burocrazia, inefficienza della pubblica amministrazione, corruzione, criminalità organizzata sono ostacoli oggettivi allo sviluppo, e colpiscono soprattutto i più giovani, i più liberi, i più innovatori. Qualcuno resta, insiste, ci prova. Molti falliscono, qualcuno riesce. Altri se ne vanno, e diventano eccellenze nel mondo, lasciando a noi il rammarico di averli perduti. 

Davvero la tecnologia è la panacea?

Io credo nella forza della rete, nelle nuove comunicazioni, nella tecnologia ma farei attenzione a non enfatizzarle troppo. Intanto perché queste hanno bisogno anche d’investimenti strutturali. Penso alla banda larga, cui mi pare sia estranea buona parte del Paese, e buona parte del Sud. Penso a una Pubblica amministrazione che ancora ti chiede di produrre carte. Penso a una scuola che è ancora attaccata ai feticci del passato, che fatica a modernizzarsi. Se non si fa un lavoro preliminare su queste aree, è difficile immaginare l’innovazione come campo di un nuovo sviluppo. Poi rifletterei sul fatto che noi, per rispondere al bisogno di lavoro che c’è al sud, abbiamo bisogno di creare occupazione di massa, per grossi volumi. Le start up che vedo in giro, nell’innovazione e nella tecnologia, almeno quelle nate in Italia, anche quelle più brillanti, mi sembra che diano occupazione a poche persone. Vedo grande intelligenza, talento creativo, ma poca capacità produttiva. Così sarà difficile superare la crisi del sud, che è soprattutto crisi occupazionale, mancanza di lavoro, mancanza di prospettiva personale.

La Rete però non è solo un’occasione di riscatto per il futuro è già presente e non mancano esperienze di successo come ad esempio Ninjamarketing,: se non fosse stato per internet come sarebbe stato possibile che un cult dell’economia digitale risiedesse a Cava de’ Tirreni, alle porte della Costiera Amalfitana lontano dai centri di potere? Quali sono i fattori critici di successo?

Per Alex Giordano, esperto di etnografia digitale – “Diciamo che aldilà di realtà pop la cosa interessante è che la natura tribale e diffusa, fatta di tante preziose bellezze e tipicità, tipica del mediterraneo, risponde perfettamente alla metafora della Rete e quindi mi aspetto che ci siano tante realtà che riusciranno ad interiorizzare l’etica del networking non solo nel web ma anche e sopratutto nelle forme di organizzazione, di cooperazione, di socializzazione. Solo così sarà possibile che  il grano autoctono di Caselle In Pittari (nel Cilento) , saprà mettersi in rete con i volontari locali del WWF che insieme all’amministrazione comunale di Morigerati (sempre in Cilento) ha restaurato gli antichi mulini a pietra per fare un pane buonissimo che può essere venduto anche attraverso il web.”

Quest’approccio funziona con i singoli producendo eccellenze e best practices ma non funziona a livello macro e non diventa sistema, perché?

Perché dobbiamo capire che il social network non è un software, un qualcosa che risiede nel web, ma è un’etica da recuperare. E se saremo bravi a fare quello che non siamo stati bravi a fare, in altre parole sistema, potremo competere da leoni su un piano global.

Tutto quello che è emerso, è sicuramente da tenere a mente per la costruzione di un futuro migliore del Sud, in attesa di ciò però voglio rilevare alcuni casi virtuosi. Ci sono tanti casi meritevoli di essere citati e anzi mi piacerebbe che nei commenti citiate casi di successo che magari ancora non sono noti al grande pubblico.

Parto da Vulcanicamente,

progetto del Comune di Napoli voluto dall’Assessore Marco Esposito che ha saputo risvegliare il magma che ribolliva a Napoli dando a molti ragazzi la possibilità di provare a realizzare i loro sogni. Alcuni numeri (5 tappe in 5 facoltà diverse napoletane, più di 100 partecipanti, 72 progetti, sei startup già finanziate tra cui DeRev di Roberto Esposito).

In Puglia segnalo: QIRIS: un incubatore di start-up e iniziative innovative, promotore tra l’altro di BeMyApp Italia, follow-app e Startificio. Laboratori dal Basso la nuova idea di Bollenti Spiriti e ARTI Puglia per sostenere le giovani idee di impresa con formazione guidata dalla domanda.

Dal mio punto di vista mancano ancora due cose per fare il salto di qualità: la capacità di fare sistema per costruire davvero un ecosistema dell’innovazione che aiuti tutti a realizzare i propri sogni, dove le Università insegnino agli studenti cosa vuol dire fare l’imprenditore, dove le istituzioni comprendano davvero il valore dell’innovazione delle nuove tecnologie, dove i capitalisti, non solo i Venture capitalist, ma anche i piccoli borghesi o i palazzinari capiscano che investire in innovazione possa essere  molto conveniente. Inoltre manca ancora la vision, quella con cui ad esempio il mio amico Luca Perugini ipotizzava una riconversione dell’Ilva di Taranto in un Data center di Google,

sarebbe bello se un’idea simile venisse ai nostri politici no?

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