L’autore di Se Steve Jobs fosse nato a Napoli……è tornato con un nuovo libro
Il tema toccato da Antonio nel suo nuovo libro lo sento mio, quante volte io ed i miei amici ci siamo ritrovati a fare questi discorsi.
“Aveva ragione Eduardo quando diceva fuitevenne, Napoli non ha speranza. Bisognerebbe avere il coraggio di andarsene e provare a realizzarsi lontano da qui. “
In realtà qualcuno dei miei amici lo ha anche fatto penso a Luca che da anni vive a Darmstadt e lavora all’ESA o a Pietro che ora è in Montenegro a realizzare il nuovo elettrodotto che lo collegherà con l’Italia o Rosario che gira il mondo per conto del RINA.
Sicuramente per affermarsi nel lavoro ora l’Italia non è il posto giusto ma quello che mi chiedo è quanto conta il lavoro e quanto conta il resto? Sareste pronti a rinunciare agli affetti,alle abitudini ed alle comodità?
Io non ci sono riuscito, pensate che quando ho vissuto due anni a Roma alla fine tenevo l’appocundria
Bravi e brillanti, tre amici napoletani festeggiano la laurea con una birra e si chiedono che cosa fare ora. Ilaria ha la risposta e un biglietto in tasca: vuole viaggiare e guadagnare. A Milano l’aspetta una multinazionale, e pazienza se dovrà vivere in un monolocale, sgobbare a testa bassa, e sopportare i sospiri strappacuore di un padre che non la vorrebbe lasciare. Michele, architetto geniale e indolente, qualche dubbio ce l’ha, ma ha ricevuto un’offerta da Londra che in Italia manco si sarebbe sognato, e parte. La nostalgia della sua terra la coltiverà via Facebook, perché di sentimenti non si campa. “E qui chi rimane?” si domanda Diego Armando, che con un nome così non potrebbe certo vivere altrove.
Accetta un posto precario all’università, dove il professor Tuccillo – nipote, figlio e cugino di inamovibili baroni – gli garantisce tanto lavoro in cambio di tantissime promesse. E basta. Quando anche l’ultima si rivela una bufala, il ragazzo deve rassegnarsi: amare le proprie radici è un lusso che non si può permettere. Ma neppure gli amici, lanciatissimi e in carriera, sono soddisfatti e giorno dopo giorno la nostalgia li consuma.
Allora qual è la soluzione? chiede Antonio Menna, con questa parabola graffiante che denuncia con ironia la più assurda delle nostre contraddizioni: prepariamo giovani pieni di talento e li costringiamo ad andarsene. O forse una speranza esiste, suggerisce, e sta nell’ostinazione un po’ incosciente di chi crede che realizzarsi a Napoli – e anche nel resto d’Italia – non sia solo un’utopia.
Bio
Antonio Menna, giornalista, vive e lavora a Napoli. Ha collaborato con numerose testate nazionali e ora scrive per il quotidiano Il Mattino e per il giornale on line Fanpage. È esploso sul web l’anno scorso (200.000 contatti in un giorno), grazie al post “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli”, da cui è nato l’omonimo libro-manifesto (Sperling & Kupfer, 2012). Ha pubblicato inoltre i romanzi Cocaina & Cioccolato, (Cicorivolta 2007) e Baciami molto (Cicorivolta 2009).
INFO
Prezzo € 12,00
Editore Sperling & Kupfer
Collana Saggi
Data uscita 19/03/2013
Pagine144
grazie per la citazione antó! 😉
Concordo con te che non é semplice fare certe scelte ma devo anche dire che, col passare degli anni (sono quasi 10 che sto in Germania), il rapporto con la propria terra di nascita evolve, ti senti sicuramente legato perché lí hai ancora parte dei tuoi affetti ma il cordone ombelicale si allenta: costruisci amicizie, relazioni… insomma anche il tuo mondo si sposta insieme a te.
Sopratutto noto che ció che ti ha portato a 1500 Km da Napoli, ovvero il lavoro o le aspettative di carriera iniziano ad essere sempre meno importanti per fare pian piano spazio ad altri “valori” che ritieni vitali per la crescita dei tuoi figli, che sono funzionali ad un equilibrio personale e di coppia e che riesci a trovare nel posto che ti ha accolto.
Non sono uno che fa la guerra di religione a chi lavora “giú al sud”, non sono uno del “fuijtevenne” a tutti i costi anzi credo che gli equilibri di cui parlavo sopra, si possano e si debbano essere costruiti anche da coloro che hanno deciso di restare.
Entrambe le scelte sono assolutamente legittime, entrambe hanno diritto di cittadinanza ed entrambe comportano un lavoro fatto di sacrifici e sopportazione per confermare, giorno dopo giorno, che quella, alla fine, é stata la scelta giusta.
Le analisi di Menna sono molto all’italiana, cioè non vogliono confrontarsi con i nudi brutali fatti numerici. Come già nell’altro libro, dove si confondevano ostacoli burocratici tipici italici con possibilità di accedere a capitale di rischio (che in Italia non c’è), anche in questo libro si propone una cosa impossibile a farsi senza soldi, cioè creare abbastanza posti di lavoro per una delle regioni più popolate d’Italia, con una popolazione fatta sopratutto di giovani che hanno come opzione di scegliere la carità familiare, le mancette del precariato o devono necessariamente emigrare.
D’altra parte la classe dirigente napoletana (nessuno escluso) ha fatto di tutto per distruggere i motori delle sviluppo (1995) e infatti le statistiche dicono che fino al 95 la Campania cresceva, poi è ritornata indietro.
Adesso, con questi chiari di luna nazionali e globali, con uno scenario dove il “software si sta mangiando tutti i posti di lavoro, come dice Marc Andreessen, come si creano occasioni di lavoro per milioni di giovani, anche brillanti, a Napoli? Con quali soldi visto che la Regione non è capace di spendere neppure i fondi europei? E con quali progetti visti che dal 97 c’è il buco nero di Bagnoli che nessuno è capace di gestire?
Meglio andarsene, senza scappare, in modo ordinato, lasciando la città ai saccheggiatori, quelli che perdono tempo davanti ai bar cianciando di affari senza presupposti: i soldi.
Roberto condivido abbastanza la tua analisi, ma non riesco ancora ad arrendermi.
Vedo girando anche tante cose buone e spero che prima o poi i napoletani inizino a fare squadra tra loro, solo così possiamo uscirne.