Eni, un colosso dell’energia che crede nell’IT

Sta vincendo il marketing sulla tecnologia, un marketing vuoto di contenuti

Eni è una delle maggiori aziende energetiche integrate al mondo e opera nei settori dell’esplorazione e della produzione di gas e petrolio, del trasporto internazionale e della vendita del gas, della generazione di energia, della raffinazione e della vendita di prodotti petroliferi, della chimica e dell’ingegneria e costruzione.

Eni è presente in novanta paesi con circa 78.000 dipendenti, l’anno scorso ha avuto un profitto di circa 20 miliardi di euro, pagando ricchi dividendi agli azionisti poco meno di 4 miliardi di euro.

Qual è l’importanza dei Sistemi Informativi? Ne abbiamo parlato con Gianluigi Castelli – CIO di Eni che è stato recentemente eletto “CIO of the Year” per l’area EMEA agli Oracle Excellence Awards 2013, l’iniziativa che premia i partner di Oracle che in tutto il mondo hanno mostrato di eccellere nel generare valore per il business attraverso le tecnologie.

Con questa complessità e con la presenza capillare in novanta Paesi come si devono organizzare i Sistemi Informativi?

L’azienda era strutturata in tre macrodivisioni (ora siamo in fase di cambiamento); una divisione che si occupa di esplorazione e produzione quindi ricerca e sfruttamento di giacimenti di energia, una divisione che si occupa di raffinazione e vendita di derivati petroliferi, poi avevamo la divisione Gas & Power che si occupava di vendere gas ed energia elettrica sul mercato retail e ai grandi clienti che ora è stata divisa in due unità quella che opera sul mercato retail è quella che chiamiamo downstream mentre l’area dei grandi clienti è confluita nell’unità midstream. Poi abbiamo un’azienda controllata al 100% che si occupa di petrolchimica la Versalis.

La nostra Direzione IT è molto centralizzata ed ha poi una forte presenza territoriale che assume forme molto differenti in virtù del nostro modo di essere presenti in vari paesi; abbiamo delle consociate al 100% che sono oggetto di una forte centralizzazione, poi ci sono i consorzi dove siamo main contractor (ad esempio in Kazakistan)  e poi abbiamo partecipazioni minoritarie.

Il nostro modello di governance vede diversi livelli di accentramento, da quelli forti a quelli con schemi molto leggeri che si riflettono nell’applicazione di contratti globali fatti a livello centrale ma lasciando ampio spazio alle strutture locali. La struttura centrale impiega circa 750 persone mentre in giro per il mondo abbiamo altre 300 risorse. In termini d’investimenti e di spesa siamo intorno ai 600 milioni di euro all’anno centrali e circa 250 sull’estero.

Probabilmente in Italia nessuno ha la stessa capacità d’investimento?

In realtà non è vero, non sono informato delle evoluzioni delle grandi banche (Unicredit e Intesa) però sia in termini di forza lavoro sia in termini di budget almeno fino ad un paio di anni fa erano più grosse di noi. Certamente però vista la nostra organizzazione e le nostre quattro linee di business possiamo affermare che sono 4 mestieri completamente differenti e questo significa avere sia un’organizzazione, sia un’architettura, sia competenze differenti ed estremamente diversificate quindi probabilmente la nostra complessità è superiore ad esempio a quelle delle grandi banche.

Che rapporto c’è con l’outsourcing?

In Italia nella struttura centrale soprattutto nell’area sviluppo applicativo abbiamo circa un rapporto uno a tre in termini di FTE tra interni ed esterni. Si tratta quindi di un ricorso importante a capacità di sviluppo esterno. Recentemente abbiamo preso delle decisioni controcorrente; per esempio sulla parte di operations inerente la gestione della nostra infrastruttura siamo passati da un contratto vecchio di 15 anni di full outsourcing ad un insourcing selettivo perché riteniamo che sia dal punto di vista economico sia della qualità del servizio sia meglio così.

Passando alle risorse fisiche come siete organizzati? Quanti Data Center avete?

Dal primo gennaio concentreremo nel nuovo Data center che è stato inaugurato il 29 ottobre a Pavia tutti i server di servizio e tutti i server dedicati all’High Performance Computing che utilizziamo per le simulazioni sismiche, la stima ed il dimensionamento dei giacimenti. Poi avremo un data center di disaster recovery che per ora sarà il  vecchio data center attualmente primario che è in outsourcing con HP da 15 anni.

Quali sono stati i principali progetti realizzati e quelli futuri?

I progetti più importanti realizzati sono stati quelli che avevano come focus l’esigenza di consolidamento (fino a sette anni fa Eni era un arcipelago di aziende mentre con l’avvento di Scaroni è iniziata una forte azione di consolidamento, risultata in una vera corporation). Abbiamo consolidato tutte le applicazioni consolidabili e nel fare ciò le abbiamo anche rinnovate da un punto di vista tecnologico e dell’infrastruttura su cui si appoggiano. In particolare abbiamo consolidato i sistemi amministrativi (avevamo ventuno sistemi SAP diversi sparsi per l’Italia ora ne abbiamo uno solo, stessa cosa sui sistemi di approvvigionamento di ogni società (da 19 a uno)), abbiamo rinnovato i sistemi di billing  e del CRM del mondo gas & power.

Abbiamo poi in corso la realizzazione di un grandissimo sistema di gestione del personale unico per tutto il mondo, con un investimento superiore ai 10 milioni di euro.

Il progetto più importante che ora è in fase di conclusione è stato l’IT Transformation; il percorso di cambiamento nasce con il nuovo dato center, poi però ci siamo detti che facciamo? Solo un trasloco di macchine?

Pertanto abbiamo deciso di introdurre una nuova infrastruttura totalmente standardizzata basta su sistemi blade, realizzando, di fatto, una reale Infrastrutcure as Service e una Platform as Service, realizzando, di fatto, anche se il termine è abusato, il più grande cloud privato certamente in Italia e uno dei più grandi nel mondo.

Avevamo 575 applicazioni eterogenee dopo una razionalizzazione le abbiamo ridotte a 403 e le abbiamo migrate tutte sulla nuova infrastruttura.

Quale sarà lo scenario IT sia dal punto di vista tecnologico sia organizzativo?

Non mi piace fare ricorso alle parole magiche: mobility, big data, …. Non mi piacciono perché credo che l’hype che è generato attorno a queste presunte novità in realtà confonda le aziende che non hanno il tempo di portare a maturazione i concetti buoni che ci sono dietro questi slogan.

Così facendo si genera un fenomeno acritico di me too invece di quel pensiero forte che pure esisteva nel passato e di cui avremmo maledettamente bisogno. Una volta c’era il modo IBM o il modo Digital di fare informatica, si potevano amare o odiare, ma era un pensiero forte che implicava scelte strategiche architetturali e operative molto ben definite, oggi invece è un gran mischione dove tutti fanno tutto, chi meglio, chi peggio, ma manca una chiara direzione strategica da parte dei vendor e c’è un rischio di uniformità; si rischia di comprare solo in base al brand ed al prezzo  e non per reali contenuti. Sta vincendo il marketing sulla tecnologia, un marketing spesso vuoto di contenuti. Anche se vedo qualche segnale di miglioramento.

La tecnologia hardware negli ultimi anni ha migliorato molto le prestazioni in termini di CPU, fenomeno chiaramente guidato dal mercato consumer. Ad esempio per i nostri tre petaflops che servono le simulazioni sismiche, utilizziamo architetture che nascono in ambito games GPU (Graphical Process Unit). L’investimento necessario per sviluppare processori con quella capacità si giustifica solo in casi di volumi alti. Sulla tecnologia software direi che abbiamo consolidato tutto dal punto di vista dei sistemi operativi mentre osservo invece una perdita di cultura e di competenza sui temi legati all’ingegneria del software e sui linguaggi di programmazione. I linguaggi prevalenti in uso per fare siti (perl, xml etc) rappresentano un forte regresso rispetto ai linguaggi di programmazione strutturati della fine degli anni 90 che avevano raggiunto il culmine robustezza ingegneristica. L’ingegneria del software sembra essere una disciplina quasi caduta in disuso: avrei molto da ridire sulla manutenibilità e le performance di molto del software che viene scritto oggi in assenza di una seria disciplina di programmazione.

Siamo nella fase Plug&Play in cui si trovano in Rete software che poi si prova a integrare nelle aziende.

Sì ma occorre sapere bene quel che si fa, altrimenti è un disastro. Per carità va benissimo usare software public domain però poi va inserito in un contesto ingegneristico che non crei problemi, senza perdere il controllo. Le società di servizi operanti nel settore del software devono migliorare la capacità di fare del software di qualità.

I Social Media possono essere utilizzati in azienda?

Questo è un fenomeno che noi abbiamo già cavalcato perché abbiamo uno strumento social che si chiama Moka che è nato per facilitare il reperimento e la condivisione di competenze all’interno della struttura ICT e che poi è stato esteso a tutta l’azienda diventando, di fatto, il social network di tutta Eni. Abbiamo una serie di stanze tematiche moderate dalla comunicazione interna che ha la finalità di distruggere quelle barriere organizzative che talvolta limitano la nostra efficacia.

Il ruolo del CIO si è evoluto molto negli ultimi anni, cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

La nostra professione è presa in mezzo tra un’evoluzione continua delle tecnologie e delle soluzioni che non è governata dal CIO stesso e da linee di business che oramai anche in aziende che operano in mercati tradizionali come la nostra considerano l’IT una leva che va oltre il fare efficienza. È un mestiere in continuo cambiamento, il mondo cambia e quindi il ruolo cambia però i fondamentali per fare bene il nostro mestiere sono sempre i soliti in primis bisogna soddisfare il bisogno di efficienza che tutte le aziende sempre e comunque avranno; prima efficienza interna dell’it e poi un aiuto a efficientare le linee di business perché solo così attraverso il rispetto di obiettivi precisi di costi e di tempi si costruisce la credibilità che poi consente di ottenere le risorse per innovare.

Il CIO deve contare su un team di persone di esperienza molto diversa che devono essere ossessivamente ricercate tra le eccellenze, io non riesco a immaginare un team a riporto del CIO di gente che si siede, voglio dietro di me dieci risorse che possano occupare il mio posto domani così da avere la motivazione di correre in avanti più velocemente e cosi facendo trascinare tutta la capacità d’innovazione che abbiamo. Il CIO deve essere un osservatore dei fenomeni che accadono attorno per guidare il cambiamento invece che subirlo passivamente.

L’Italia secondo Lei avrebbe bisogno di un CIO?

Certamente sì, in qualche misura l’ha, anche se un po’ è una poltrona per due in questo momento con Ragosa e Caio. Il problema vero però non è il CIO ma la struttura della nomenclatura esistente che frena il cambiamento. Se il CIO del Paese deve solo emanare delle norme, non serve a nulla e non si va molto lontani, è evidente che è necessaria una capacità operativa che è molto vincolata oggi. Manca poi una visione strategica tutti parlano di Banda Larga ma poi dopo cosa ci facciamo? Che servizi erogo?

 

 

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Nato nel 1954, Gianluigi Castelli oggi è CIO di Eni.   

Laureato in Fisica a indirizzo cibernetico, dopo gli studi svolge attività accademiche presso il Dipartimento di Scienze dell’Informazione ldell’Università di Milano, per poi entrare in Etnoteam, dove resta 18 anni con diversi incarichi fino ad occupare la posizione di responsabile della Divisione di System Integration.

Successivamente passa in Infostrada dove ricopre il ruolo di CIO e poi in Fiat dove nel periodo 1997–2001 opera come CIO di Fiat Auto e come CEO di Fiat GSA, la società di servizi software del Gruppo.

Approda poi al ruolo di CIO e di CTO di Vodafone Italia, azienda la cui strategia è focalizzata sull’innovazione dei prodotti e servizi e di cui l’ICT è parte integrante. Nel 2003 assume la carica di CIO del Gruppo Vodafone, con la responsabilità del coordinamento e del consolidamento informatico a livello mondo. Nel 2006 entra in Eni con il ruolo di CIO, sua attuale posizione.

 

Il CIO del futuro

«Ho visto tanti, troppi sistemi informativi cresciuti male e in fretta come delle brutte periferie e invece vorrei vedere, progettare quartieri modello per aiutare la crescita e la competitività delle organizzazioni»

Stiamo vivendo un periodo di rapidi cambiamenti che comportano grandi novità per le aziende, le organizzazioni It e il modo in cui le persone vivono e utilizzano le tecnologie. Questi cambiamenti, interesseranno milioni di persone e un mercato di enormi proporzioni, rivoluzionando i tradizionali approcci alle attività di business e all’utilizzo delle tecnologie It. Le organizzazioni Ict hanno da tempo compreso che la dinamicità dei mercati e le sempre più elevate esigenze di qualità espresse dai clienti, richiedono un ripensamento della missione “dell’azienda It”. Tutto questo dimostra che i Cio devono concentrarsi sull’allineamento tra business e It dei processi che consentono all’azienda di differenziarsi.

Di tutto questo abbiamo discusso con Antonio Calabrese amministratore delegato di Rippols (www.rippols.com) ed ex responsabile dei sistemi informativi del Reparto Corse della Ferrari,

cui abbiamo posto alcune domande.

 

Quali sono i fattori critici di successo per un Cio?

Calabrese: La risposta a questa domanda presuppone che si abbia una definizione condivisa di cosa è un Cio. Purtroppo questa definizione è variabile con la caratterizzazione delle imprese in termini di dimensioni, cultura e business.

Il mestiere del Cio si impara in azienda con una formazione scolastica molto attenta agli aspetti tecnologici e molto poco attenta a quelli di management delle risorse. Eppure le nostre società, la nostra economia poggiano sulle tecnologie dell’Ict che fanno la differenza tra un sistema organizzativo ben connesso, integrato e informato e uno composto da un arcipelago disperso di divisioni che ogni volta rielaborano in modo inefficiente dati e piani che dovrebbero costituire il patrimonio competitivo dell’azienda.

Il Cio dovrebbe possedere solide basi teoriche di informatica e comunicazioni, ma soprattutto conoscere i “materiali” disponibili per costruire le architetture informatiche che costituiscono il sistema nervoso delle organizzazioni. Ho visto tanti, troppi sistemi informativi cresciuti male e in fretta come delle brutte periferie e invece vorrei vedere, progettare quartieri modello per aiutare la crescita e la competitività delle organizzazioni. Per questo uso dire che abbiamo bisogno, più che di tecnici, di “architecnici” in grado di leggere il business e di proporre in modo autonomo architetture tecnologiche snelle, efficienti e progettate per seguire e promuovere il cambiamento che troppo spesso siamo costretti a osteggiare.

L’innovazione è nelle macchine o nell’uomo?

Mi è stato insegnato, tanto tempo fa, che le macchine sono solo delle nostre appendici in grado di elaborare molto velocemente informazioni che l’uomo  mette loro a disposizione secondo modelli e logiche che è l’uomo a definire. Questo è ancora vero anche se tuttavia bisogna sottolineare che molti degli obiettivi che ci poniamo nel business e nella vita sarebbero irraggiungibili senza l’uso delle macchine, senza la velocità che le caratterizza. Ed ecco allora che, pur essendo l’uomo centrale, pur essendo l’uomo a stabilire la direzione e gli obiettivi personali e di business esso diventa molto meno efficace, direi paralizzato senza la tecnologia e le macchine.

L’innovazione è dunque sempre e ancora nell’uomo ma l’uomo che si impegna a utilizzare la tecnologia in modo intelligente e funzionale ai propri obiettivi ha più probabilità di successo rispetto a chi non la usa o, più facilmente, la subisce.

Un Cio cosa dovrebbe fare per governare al meglio i sistemi informativi?

Avere un monitoraggio continuo su come le risorse economiche vengono utilizzate per la gestione, progettazione, distribuzione e manutenzione dei sistemi informativi. Una funzione di controllo di gestione interna ai sistemi informativi è essenziale per poter prendere delle decisioni avvedute sia sulle tecnologie da adottare che su argomenti strategici quali il sourcing che troppo spesso vengono affidate all’improvvisazione o alle mode.

Dovrebbe inoltre interpretare il suo ruolo alla pari con gli altri interlocutori aziendali non andando a rimorchio delle altre funzioni di business, ma anticipandone i bisogni e i cambiamenti in modo autonomo e proattivo. È necessario un continuo scouting di tecnologie innestato su di una solida piattaforma di sistema pronta ad accogliere i risultati di un confronto continuo e strutturato con il business.

Se è il business a chiedere un’innovazione tecnologica siamo già in ritardo, in affanno e costretti a inseguire.

È più difficile lavorare in un’azienda che è sul mercato e quindi alla continua ricerca del successo o in un’impresa che eroga servizi, commodities e quindi deve garantire il livello di servizio?

Avendo avuto la fortuna di operare sia in aziende di servizi che di produzione di beni durevoli penso che non ci sia una grossa differenza. L’eccellenza e il successo si raggiungono a prescindere dal settore di appartenenza e sono frutto di impegno, motivazione e soprattutto di duro lavoro e attenzione esagerata ai singoli dettagli che fanno la differenza. Sono arrivato in Formula 1 da una società di servizi e, come molti mi facevano notare, non sapevo nulla del business delle corse. Bene, oltre a un totale impegno, credo di aver portato un punto di vista diverso e, come tale, fonte di vantaggio competitivo. Credo che le organizzazioni dovrebbero abbracciare con maggiore entusiasmo i vantaggi portati dalla diversità di esperienze se supportate da solidi fondamentali. Dovremmo promuovere di più la mobilità di Cio in industry differenti.

La formazione italiana ed europea è adeguata per il ruolo del Cio?

No. Infatti sto cercando di promuovere, a fatica, iniziative per la formazione di una nuova generazione di professionisti della gestione delle tecnologie che abbiano gli skill necessari per affrontare le sfide del futuro. Quasi mai buoni sistemisti o programmatori sono pronti a diventare dei Cio. La profonda conoscenza tecnica non abilita la comunicazione e la fertilizzazione di nuove modalità di utilizzo della tecnologia in aziende complesse sempre più interconnesse. A queste competenze vanno aggiunte conoscenze di organizzazione aziendale, leadership, comunicazione, organizzazione, performance assessment, project management, finanza e controllo, protezione della proprietà intellettuale, negoziazione. Sarebbe bello che i giovani laureati frequentassero oltre a dei Master in Business Administration (MBA) anche dei Master in Technology Administration (MTA). Mi piacerebbe conoscere l’opinione dei lettori in proposito.

Il futuro dell’It?

In generale il futuro dell’It non può che essere roseo. Le tecnologie dell’informazione sono così capillarmente onnipresenti che è facile prevedere un lungo e prospero futuro per loro.

Le parole chiave saranno semplicità, comunicazione, interconnessione, integrazione, convergenza di tecnologie e di media. Mi immagino un’It al servizio dell’uomo che parla i linguaggi dell’uomo. Mi immagino un’interazione più semplice e meno conflittuale tra l’uomo e i sistemi informatici, dove tutti possano avere accesso alle informazioni di cui hanno bisogno o possano creare l’applicazione di cui hanno necessità. Credo che la bilancia, il telefono, i servizi postali, la palestra, l’automobile, l’ospedale, il packaging dei cibi che mangiamo, il nostro corpo, solo per citare alcune fonti di informazione, si parleranno e si integreranno per offrirci nuove opportunità di miglioramento.

Quando penso di essere poco realistico mi ricordo che solo pochi anni fa se qualcuno mi avesse detto che sarebbe bastato inserire delle parole chiave in una pagina bianca, senza conoscenza alcuna di database, indici e protocolli di comunicazione, per ottenere il contributo di milioni di computer collegati in rete avrei fatto fatica a crederci.

I limiti sono nella nostra mente e sono fatti per essere superati.

 

N.B. Pubblicato su Data Manager il 22/10/2012 

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Antonio Calabrese STORY

Antonio Calabrese per oltre due decenni, ha appreso e condiviso know how nelle organizzazioni di alto profilo in cui ha lavorato come Aermacchi, Instrumentation Laboratory e Kpmg prima di diventare responsabile dei sistemi informativi della Ferrari Racing Team. Alla fine del 2008 Calabrese ha fondato Rippols con l’obiettivo di consentire alle organizzazioni di utilizzare la tecnologia come un elemento di differenziazione competitiva. Antonio Calabrese vive sulle colline al di fuori di Maranello, a Milano e nel mondo. È sposato con Brigitte e ha due figli, Ludovico e Sofia. Tra i suoi principali successi: 5 campionati del mondo Costruttori in Formula1, HPCwire Awards 2005 “L’attuazione innovativa di un’applicazione HPC”, Editors’ Choice Award 2007 per il più innovativo utilizzo di HPC nel settore automobilistico. Calabrese è anche docente del Master in Comunicazione Pubblica e Politica – Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa.

CIO Evolution – Parola ai protagonisti dell’IT



 

Fratelli Pini Editori
Pubblicato: maggio 2011
Pagine: 147
Prezzo: € 20,00

Per acquistare il libro online: http://blomming.com/mm/antosavarese/items/10267


Si profila all’orizzonte un periodo di rapidi cambiamenti, che comporteranno grandi novità per le aziende, le organizzazioni IT e il modo in cui le persone vivono e utilizzano le tecnologie. Questi cambiamenti interesseranno milioni di persone ed un mercato di enormi proporzioni, rivoluzionando i tradizionali approcci alle attività di business ed all’utilizzo delle tecnologie IT.Le organizzazioni ICT hanno da tempo compreso che la dinamicità dei mercati e le sempre più elevate esigenze di qualità espresse dai Clienti, richiedono un ripensamento della missione dell’azienda IT secondo un approccio orientato ai Servizi e alla progettazione, implementazione e monitoraggio della qualità delle risorse e dei processi abilitanti.

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La vision Ict per l’Aeroporto di Napoli

“La massimizzazione della capacità delle infrastrutture, la riduzione dei costi, i miglioramenti per il passeggero, hanno spinto verso un  piano di sviluppo dell’ICT integrato al piano strategico di sviluppo dell’ Aeroporto ”

Nel contesto odierno di un’elevata competizione la gestione di un aeroporto è caratterizzata, oggi giorno, da una tecnologia pervasiva e da un processo di cambiamento sempre più rapido. La scelta del modello di governance per lo sviluppo e la gestione dei sistemi informativi diventa cruciale per gestire la complessità del sistema.  Ne abbiamo parlato con Fabio Pacelli – Direttore ICT BAA Italia Spa e Presidente Software Design Spa

 

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Campidoglio, il futuro è hi-tech

 

 

“Il futuro sarà caratterizzato da servizi fruibili solo online, pertanto sarà necessario ripensare  i  processi per l’erogazione dei servizi e renderli più snelli grazie alla tecnologia

ll futuro del Comune di Roma è all’insegna della tecnologia, dell’e-government, dell’interattività tra amministrazione e cittadini. Il Dipartimento Risorse Tecnologiche – Servizi Delegati – Statistica, ha un ruolo determinante nelle tecnologie del Comune di Roma con la responsabilità della struttura ICT e dei Servizi Anagrafici, Elettorali e  Statistici relativi ad una popolazione di oltre 2.800.000 cittadini.

E’ infatti la struttura dell’Amministrazione dedicata all’Information Communication Technology, che gestisce i progetti di E-Government in linea con la crescente domanda di servizi informatici provenienti dall’organizzazione interna del Comune e cura l’implementazione della cooperazione applicativa dell’Amministrazione con gli altri Enti Istituzionali e la comunicazione interattiva con i cittadini e il mondo delle Imprese. Abbiamo discusso del valore strategico dell’ICT con Emilio Frezza – direttore del Dipartimento Risorse Tecnologiche – Servizi Delegati – Statistica del Comune di Roma 

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Business Technology, è questo il futuro

“Un progetto informatico dovrebbe sempre  partecipare al raggiungimento di un obiettivo di business”

Per rispondere alla crescente complessità della gestione aziendale, dei dati e delle informazioni che transitano all’interno delle imprese, i CIO si stanno dotando di adeguati strumenti IT: gestire il cambiamento strutturale imposto dalla competitività comporta anche l’implementazione di modelli organizzativi funzionali alle attività di business. Conseguentemente, il ruolo del CIO diventa anche quello di ‘facilitatore’ delle strategie di business, e dunque di business manager specializzato in tecnologia. Di questo ne abbiamo parlato conDonatella Paschina  – Group CIO di Ermenegildo Zegna

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FIREMA, innovazione e tecnologia per ripartire

 

“Il CIO è uscito dal sottoscala ed è entrato nella stanza del business per  parlare con l’amministratore delegato ed i direttori di funzione per  recepire le loro esigenze”

FIREMA progetta e costruisce materiale rotabile per il trasporto passeggeri, sistemi complementari, ed equipaggiamenti elettrici ed elettronici al sistema informativo di bordo. FIREMA è stata fondata nel 1993 dalla fusione per incorporazione di società operative nel settore ferroviario, allo scopo di integrare le risorse industriali e finanziare per affrontare con maggiore competitività le richieste del mercato nazionale ed internazionale.

FIREMA ha sede principale a Caserta, e siti a Milano, Tito Scalo (Potenza) e Spello (Perugia): impiega oltre mille persone, e nel 2008 ha fatturato circa 190 milioni di euro.

L’obiettivo prioritario di FIREMA è il mantenimento e il potenziamento delle competenze tecniche, che le permettono già da tempo di progettare integralmente un veicolo ferroviario dall’architettura funzionale generale al progetto costruttivo. Abbiamo parlato dell’importanza dell’IT con Nicola Rivezzi – CIO di FIREMA 

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RINA, più efficienza ed efficacia con l’IT

“Il futuro dell’IT è  in bilico tra enormi opportunità derivanti dalla vertiginosa crescita e potenzialità di nuove tecnologie e gravi rischi provenienti da un quadro di riferimento inadeguato di standard internazionali condivisi e riconosciuti”

RINA SpA è la società holding del Gruppo RINA che opera, attraverso le sue strutture organizzative, nei settori della classificazione navale e della certificazione di sistemi e di prodotti, e nell’offerta di servizi avanzati per l’industria.

La società RINA è stata costituita dal Registro Italiano Navale, fondato a Genova nel 1861, una delle più antiche società di classificazione al mondo, che ne è anche l’azionista di riferimento.

Oggi il Gruppo RINA è presente in tutte le principali nazioni del mondo con una struttura che si articola con proprie sedi esclusive in 38 nazioni con oltre 110 uffici, una forza lavoro di 1400 addetti esclusivi di 34 diverse nazionalità..

Abbiamo intervistato Andrea Favati – CIO del Gruppo Rina per capire con Lui l’importanza dell’IT :

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Gruppo api, l’It agente di trasformazione

La forza che si chiede a un CIO in tempo di crisi è quella di fare di più avendo di meno, sapendo dove e come prendere dei rischi o cogliere delle opportunità e questo richiede necessariamente una forte conoscenza non solo dei processi ma sopratutto delle tecnologie”

L’api – anonima petroli italiana SpA, tra i principali gruppi italiani guidati da una Famiglia di industriali del nostro Paese, i Brachetti Peretti, è attiva sul mercato da oltre 75 anni. Oggi, il Gruppo api opera sia nell’ambito dell’approvvigionamento, produzione, distribuzione e commercializzazione di carburanti e combustibili che nella produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel 2005  il Gruppo api ha acquistato la società IP, arrivando così a gestire, oggi, quasi 4.200 stazioni di servizio con una quota di mercato superiore al 10%.  Abbiamo analizzato il ruolo dell’IT  con Mauro Minenna – CIO del Gruppo api

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I CIO europei come affrontano la “nuova normalità”?

Le Aziende devono  rispondere a sfide senza precedenti ormai è da tutti gli analisti riconosciuto che la crisi economica ha dato vita ad una ristrutturazione di ordine economico.Nella transizione verso una "nuova normalità" a crescita più moderata dell’economia mondiale, le imprese che sapranno individuare le correnti di crescita più dinamiche riusciranno a crescere a tassi sostenuti. L'incertezza è ormai un dato di fatto quindi è importante pensare al di là di questo e pianificare il futuro. Scommettere sul futuro comporterà scelte rischiose, ma assicurerà longevità, redditività e leadership alle aziende. Per vincere la scommessa le aziende dovranno ripensare la loro struttura.

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