Smart Working – intervista a Daniele Appetito, Manager eFM

Nell’ultimo anno in Enel mi sto occupando di Smart Working ed ho avuto l’opportunità di conoscere tante realtà interessanti con cui confrontarmi.

Ho deciso quindi di intervistarli per mettere a fattor comune la conoscenza.

Comtinuo  questo ciclo di interviste con  Daniele Appetito di eFM.

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Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello Smart working in Italia?

Il termine Smart Working si è ormai affermato nell’immaginario collettivo, travalicando anche i confini degli addetti ai lavori. L’approvazione della legge sul Lavoro Agile, all’interno del cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo, ha aiutato a sbloccare un processo organizzativo che i dati del Politecnico di Milano (Osservatorio Smart Working 2017) certificano ormai come dato non transitorio (sono 305 mila i lavoratori agili, in crescita del 14% rispetto al 2016 e del 60% rispetto al 2013).

Al di la della diffusa introduzione del contratto agile in diverse grandi aziende con cui abbiamo contatto quotidiano, si percepisce che le potenzialità in termini di abbattimento di costi diretti ed indiretti, di miglioramento del work-life balance, di produttività, di organizzazione e diffusione della responsabilità e, soprattutto di engagement – personale e verso l’azienda – possa subire un netto miglioramento.

Insomma: la consapevolezza che siamo nel pieno di una rivoluzione è, ormai, diffusa. La sensazione, però, è che non si abbia reale consapevolezza delle sue ragioni e della sua portata e che quindi non ci si doti degli strumenti adeguati per viverla e per interpretarla. Troppo spesso, si tende a riportare lo Smart Working ad una evoluzione del telelavoro e, quindi, a confonderlo con concetti come Home Working, Remote Working, Agile, e questo può deviare azioni e sforzi dei singoli e delle aziende.

Siamo solo agli inizi di questa trasformazione ma, sono certo che, sarà epocale. Molte aziende si stanno avvicinando ad approcci integrati al nuovo approccio lavorativo e di collaborazione che chiamiamo Smart Working. Ritengo che il 2018 sarà un anno molto importante per la maturazione del mercato Italia e internazionale.

Quali credi siano i fattori critici di successo?

Lo Smart Working va inteso come nuovo approccio lavorativo e di collaborazione all’interno di un’organizzazione e non può prescindere dalla costruzione di un modello organizzativo che abbracci la classica formula BBB : Bricks, Bites and Behaviour. La trasformazione del lavoro deve essere legata ad una azione parallela su :

  • Trasformazione degli strumenti aziendali (fisical & digital collaboration),
  • Creazione di ambienti lavorativi idonei e all’apertura verso l’esterno (indoor & outdoor workplace),
  • Ripensamento delle organizzazioni ponendo al centro la persona, facendo convergere ed integrare gli obiettivi aziendali e quelli personali (work-life integration) e trasformando la cultura aziendale verso la misura dei risultati, allontanandoci da vecchi concetti di controllo.

Una declinazione centrata esclusivamente in ottica “Smart” – Smart-city/Smart-office e quindi focalizzata all’abbattimento dei costi per gli spazi fisici, alla riduzione dei tempi e costi di trasferimento; all’estetica degli spazi di lavoro e/o alle dotazioni tecnologiche non può essere sufficiente. Sono fattori certamente importanti ma che, necessariamente, vanno inseriti in un progetto integrato di trasformazione culturale e organizzativo dell’azienda.

Vogliamo davvero liberare il lavoratore dai vincoli spazio/temporali e dalle dinamiche dell’ufficio tradizionale per poi semplicemente ricostruirle altrove, magari il più possibile vicino casa?

È presente, a ben guardare, un pericolo concreto che il Lavoro Agile si risolva in un pendolo ufficio/casa. Se lo Smart Worker diventa esclusivamente un “lavoratore remoto” si rischia un effetto boomerang che riporta alla definizione letterale remoto = “allontanato, lontano”. Fra casa e ufficio esiste invece una miniera di competenze e conoscenze, una ricchezza che, attraverso lo Smart Working, può diventare accessibile all’impresa.

Vogliamo davvero rendere liberi i lavoratori responsabilizzandoli per poi chiedere loro di comunicarci orario di inizio, orario di fine e le pause del lavoro? Il processo di cambiamento di cui un’azienda ha bisogno per rendere la singola persona responsabile del proprio lavoro, consapevole dei risultati da raggiungere, cosciente e autonomo nell’organizzazione delle proprie modalità e tempistiche di svolgimento delle attività private e di team, va supportato e guidato con opportune iniziative di trasformazione.

Insomma, sono molti i rischi ma, enorme il potenziale di successo a cui questa evoluzione del lavoro porterà per quelle organizzazioni che comprenderanno il bisogno di costruzione di un progetto olistico di trasformazione.

Citami una best practice motivandola

Ci sono diverse grandi corporation – di cui non posso ancora citare i nomi – che ci hanno contattato per dotarsi di una piattaforma per l’implementazione dello Smart Working che consenta ai propri dipendenti di scegliere una serie di luoghi interessanti sia in ottica smart-city (vicinanza alla propria vita personale) che in ottica smart-working (in senso proprio), ovvero luoghi che attivino interessi e competenze sinergiche con la propria progettualità professionale ed capaci di stimolare interessi personale. Mi riferivo proprio a questo parlando di “miniera di competenze e conoscenze” di fatto già accessibili.

Provo a spiegarmi meglio. Un’azienda può dotare i singoli lavoratori o dei team progettuali di un accesso alla piattaforma MYSPOT estendendo così il proprio portafoglio immobiliare (sedi degli uffici aziendali) con tutti quei luoghi (coworking, business center e altre sedi) in grado di supportare e accelerare le progettualità in cui sono inseriti. Ogni nuovo luogo potenzialmente vivibile dai lavoratori viene selezionato sulla base delle caratteristiche proprie (spazi, servizi, localizzazione) e delle competenze che lo abitano (community e professionisti che è possibile incontrare e da cui farsi contaminare) aumentando in maniera esponenziale le opportunità di business e innovazioe.

In questo modo, in breve, si passerà dal concetto di HQ (head quarter) a quello di HUB, alla costruzione di un luogo diffuso, integrato nel tessuto urbano e professionale in cui l’azienda è immersa e vuole orientare il proprio business.

Altre aziende, inoltre, ci stanno contattando per la costruzione di un percorso di trasformazione delle proprie persone attraverso dei percorsi immersivi che noi chiamiamo “Work-out the future”. In pratica, se pensiamo ad un team progettuale che si sta occupando di un nuovo progetto di innovazione aziendale, si tratta di affiancarlo nella costruzione di un percorso esperienziale di introduzione, contaminazione e accelerazione su tematiche come, ad esempio : Agile, Evolutionary Leadership, Civic Engagement, Activity Based Workplace, Work-life integration, Digital Collaboration e Remote Working.

Accompagnare un team attraverso tali argomenti, non soltanto attraverso il classico approccio formativo d’aula, ma attraverso la costruzione di un percorso esperienziale in grado di accelerare la progettualità in cui il team è coinvolto. Aiutando il progetto stesso, oltre che le persone coinvolte. Solo attraverso la pratica di tali esperienze e la misurazione diretta dei risultati acquisibili dall’approccio integrato dei concetti esposti precedentemente, è possibile costruire un terreno adeguato al cambiamento di cui le aziende, i lavoratori (ognuno di noi) ed il mercato tutto hanno bisogno.

Come vedi il mondo del lavoro tra 10 anni?

10 anni è un periodo troppo lungo con la velocità di trasformazione che contraddistingue i nostri tempi.

La trasformazione digitale del mondo è già avvenuta. Ci siamo dentro. Passiamo fuori dall’ufficio e dalla postazione assegnata almeno la metà del nostro tempo. Infiniti canali – pubblici e privati – ci rendono tutti costantemente iper-connessi con colleghi, clienti, fornitori, autorità, etc. Insomma: sono cambiati i capisaldi del nostro modo di lavorare perché è già cambiato il nostro modo di stare al mondo. Salta l’idea classica di orario di lavoro, di luogo di lavoro, di mansione di lavoro. La sfida è quella di mettere in campo strumenti in grado di assistere i lavoratori nell’abitare il nuovo mondo digitale.

Il punto quindi non è orientarsi nel pendolo fra diversi tipi di spazi (ufficio, casa, business center, coworking) ma la capacità di abitare un unico “luogo digitale” costituito fondamentalmente da un insieme di relazioni – spaziali, digitali, economiche, sociali, emozionali, comportamentali. Un’esperienza di questo genere, che non è né abituale, né ordinaria, né tantomeno semplice per il lavoratore, ha bisogno di essere insegnata e soprattutto vissuta. Ecco allora che diventerà fondamentale sviluppare e perfezionare un personal digital assistant (il nostro “avatar”) che accompagni e indirizzi il lavoratore in questo contesto multidimensionale, riducendo a un’unica esperienza relazionale la molteplicità di livelli comunicativi attivati, lo renda capace di orientarsi e cogliere il nuovo mondo di opportunità la Digital Transformation abilita.

Dall’altro lato, startup e corporation tenderanno ad assomigliarsi sempre di più. Bisogna però cambiare punto di vista. Le aziende di grandi dimensioni hanno lo svantaggio di essere poco reattive ma conservano comunque il vantaggio di riuscire ancora ad attirare talenti. Il punto, però, sarà cambiare il modo di gestirli e formarli: da un’organizzazione gerarchica, rigida, verticale, che forma su questa base le proprie risorse, ad una formazione permanente, immersa ogni giorno laddove accadono le cose, cioè spesso fuori dai classici confini aziendali. Nel mondo attuale, anche il miglior corso di formazione teorico-frontale rischia di essere datato non appena è stato somministrato. La sfida è invece quella d’innestare nella dimensione corporate la cultura agile. Avere la determinazione e la lungimiranza di rimettere nel mondo le proprie risorse umane, rivitalizzandole.

Non basta quindi lasciare il lavoratore libero di decidere quando e dove lavorare. È fondamentale accompagnare la libertà lavorativa acquisita verso luoghi “inspiring” in chiave di crescita del valore personale, e quindi, aziendale. Lo Smart Working può essere lo strumento che abilita questo apprendimento permanente verso nuove competenze in continua evoluzione.

 


 Daniele Appetito

Dopo essersi laureato in Ingegneria nel 2005 entra in eFM, dove si è occupato fin da subito di consulenza di business per la gestione e valorizzazione del Patrimonio Immobiliare e l’implementazione dei sistemi informativi. Dopo 5 anni di gestione dei servizi di Facility, Project e Property per un grande cliente Italiano (importante istituto bancario) diviene da prima Client Leader di questo ed in seguito Program Manager di due dei più grandi progetti internazionali di eFM. Oggi è il Responsabile dell’area Progetti di consulenza per i clienti Corporate in ambito nazionale ed internazionale.

Smart Working – intervista ad Andrea Solimene

Nell’ultimo anno in Enel mi sto occupando di Smart Working ed ho avuto l’opportunità di conoscere tante realtà interessanti con cui confrontarmi.

Ho deciso quindi di intervistarli per mettere a fattor comune la conoscenza.

Comtinuo  questo ciclo di interviste con Andrea Solimene cofounder dell’azienda Seedble

Prossima intervista a Daniele Appetito di eFM.

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Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello SW in Italia?

Siamo ancora all’inizio. Seppur ci sono aziende che hanno avviato progetti di Smart Working da 2-3 anni, sono ancora in una fase iniziale e sperimentale. Trattandosi di un processo di cambiamento e innovazione del nostro modo tradizionale di lavorare e collaborare (ma anche e soprattutto di ripensare all’organizzazione) siamo indietro rispetto al contesto internazionale. Se da una parte è un aspetto negativo, dall’altra possiamo far tesoro delle esperienze internazionali e attuare percorsi di Smart Working più “maturi”

Quali credi siano i fattori critici di successo?

Primo su tutti l’aspetto culturale. Soffriamo il contesto italiano normativo che blocca l’innovazione. Soffriamo l’assenza di veri manager in grado di far crescere le persone e instaurare un rapporto fiduciario con altri. Soffriamo il fatto di avere un tessuto imprenditoriale di piccole e piccolissime imprese che o non comprendono l’innovazione (o la reputano non prioritaria) oppure la comprendono ma purtroppo non hanno sufficienti incentivi, competenze e risorse per attuarla.
Citami una best practice motivandola

Nel contesto italiano non conosco casi tali da esser considerati best practice (è difficile immaginare una best practice smart working, visto che i percorsi variano in funzione delle esigenze, bisogni e priorità delle persone che fanno parte di una determinata organizzazione). Sicuramente Tetrapak e AMEX possono esser considerati casi interessanti. Entrambi possono contare sul fatto che appartengono a società multinazionali con grande influenza nordeuropea e angloamericana, quindi maggior apertura mentale e visione. Tetrapak perchè è stato tra i primi ad avviare lo Smart Working intervenendo anche sulla produzione e AMEX per il processo che ha spinto a rivedere gli spazi e il modello di gestione delle persone.

Come vedi il  mondo del lavoro tra 10 anni?

Bella domanda. Pochi sono coloro che hanno “indovinato” proiezioni. Diventa ancora più difficile farlo con gli attuali contesti in continuo mutamento. Tutto fa pensare a un modello di organizzazioni sempre più liquide, che premierà l’organizzazione del lavoro in autonomia, in mobilità e flessibilità. I trend mostrano che è crescente il lavoro freelance e da remoto quindi immagino grandi corporate da una parte e gruppi (medio-grandi) di network di professionisti che si uniscono per collaborare su progetti. Cè da capire come la blockchain impatterà su tutto questo, rivedendo e disintermediando tanti processi di lavoro e come l’intelligenza artificiale sostituirà tanti lavori routinari e poco produttivi. Bella sfida.

Scarica l’ebook di Seedble 


 Andrea Solimene

Digital Transformation Advisor e project manager. Si occupa di strategia, innovazione digitale e comunicazione d’impresa. Nel 2013 ha cofondato l’azienda Seedble. Nel 2012 lancia Spremute Digitali, web magazine che tratta temi legati all’innovazione e digitale, di cui è uno dei contributor. Nel 2015 scrive insieme a dei soci “The Smart Working Book”, primo ebook in Italia sul concetto Smart Working. Da quest’anno è Professore a contratto per l’insegnamento di Enterprise Communication Management alla Facoltà di Economia alla Sapienza di Roma.

Smart Working – intervista alle ricercatrici dell’IRISS CNR

Nell’ultimo anno in Enel mi sto occupando di Smart Working ed ho avuto l’opportunità di conoscere tante realtà interessanti con cui confrontarmi.

Ho deciso quindi di intervistarli per mettere a fattor comune la conoscenza.

Inizo questo ciclo di interviste con Luisa Errichiello e Tommasina Pianese, ricercatrici dell’IRISS CNR 

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Dal tuo punto di osservazione qual è lo stato dell’arte dell’implementazione dello Smart Working in Italia?

Luisa: L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, come l’Olanda o la Danimarca, mostra ancora un forte ritardo rispetto all’implementazione di modelli di lavoro flessibile, compreso lo Smart Working. Tuttavia, è innegabile che da quando quest’innovazione, al contempo tecnologica, organizzativa e sociale, ha mosso i primi passi nel nostro Paese, il suo tasso di diffusione sembra procedere a ritmi ben più incoraggianti rispetto a quanto tempo addietro era avvenuto col telelavoro.  Complice non solo l’attuale contesto normativo-istituzionale, con una legge specifica che disciplina il lavoro agile, ma anche un mutato scenario socio-economico in cui l’agilità, al centro del paradigma Smart Working, è ormai riconosciuta come una leva di competitività per le imprese. Lo stesso accade per l’innovazione tecnologica. Al riguardo, infatti, è impensabile per tutte le organizzazioni, siano esse pubbliche o private, grandi o piccole, ignorare il progresso tecnologico e gli effetti che esso ha già prodotto sulla concezione del lavoro, che si permea di nuovi significati anche rispetto alla sfera esistenziale dell’individuo. Tuttavia, anche in base a dati forniti da varie ricerche, emerge che allo stato attuale sussiste, come spesso accade quando si parla di adozione di innovazioni, un forte divario tra le grandi e piccole imprese. Queste ultime, infatti, spesso non dispongono dei capitali necessari all’implementazione dello Smart Working, mancando al contempo di quel pool di competenze dedicate chiamate a costituirsi in team interdisciplinari fondamentali per la sua efficace implementazione. Al riguardo, tuttavia, è interessante evidenziare – come è emerso dal confronto diretto con alcuni imprenditori – che spesso le realtà più piccole, soprattutto start-up che operano nei settori della consulenza, dell’ICT o della creatività, adottano già un modo di lavorare in azienda fondato su principi quali flessibilità, autonomia e management by objectives che contraddistinguono il paradigma dello Smart Working. In questi casi la piccola dimensione, che spesso si accompagna a strutture organizzative piatte, poco formalizzate e burocratiche, diventa un fattore di vantaggio rispetto all’implementazione di questo nuovo approccio,, laddove le strutture e le pratiche organizzative riflettono una cultura manageriale più aperta al cambiamento.

Tommasina: In Italia, si è registrata recentemente un’inversione di rotta ed un cambiamento culturale importante nei confronti dei modelli di lavoro in remoto. Infatti, fino a poco tempo fa, questa modalità di lavoro era associata quasi esclusivamente al tradizionale telelavoro domiciliare, di fatto mai realmente decollato nel nostro Paese. Una delle spiegazioni è da ricercare in un impianto normativo piuttosto carente, che si limitava a prevedere che il telelavoratore venisse dotato di una postazione fissa per lo svolgimento del lavoro a casa; mancavano, invece, riferimenti normativi riguardo ad un più ampio spettro di tipologie di lavoro in remoto (es. lavoro mobile, team virtuali), incentrate sulla mobilità e flessibilità spazio-temporale e, dunque, sulla possibilità di sfruttare le tecnologie ICT per svolgere da qualsiasi luogo le attività assegnate. Alla luce di tali considerazioni, la recente disciplina del “lavoro agile” nell’ambito della legge n. 81/2017 (artt. 18-24) ha innescato un cambiamento culturale importante nel nostro paese secondo cui lo smart working, e più in generale le forme di lavoro flessibile, sono esplicitamente riconosciute e legittimate come una nuova modalità di svolgimento del lavoro i cui contenuti restano, tuttavia, immutati. Ciò ha favorito un crescente interesse ed una più ampia adozione dello smart working da parte di numerose organizzazioni comprese quelle che, di fatto, avevano già introdotto al loro interno programmi di smart working in maniera informale e talora inconsapevole. Inoltre, un’ulteriore spinta alla diffusione dello smart working deriverà senz’altro dall’applicazione della direttiva del Ministero della Funzione Pubblica n. 3/2017 che prevede l’estensione di queste nuove modalità di lavoro all’interno della Pubblica Amministrazione e rispetto alle quali si registrano già sperimentazioni e progetti pilota in diversi enti pubblici. Infine, il numero crescente di spazi collaborativi, tra cui co-working e smart work centers, saranno in grado di supportare ulteriormente il lavoro a distanza degli smart workers, come spazi di lavoro condiviso dove dipendenti pubblici e privati hanno a disposizione gli strumenti e tecnologie per lavorare a distanza dalla sede centrale. In via generale, è comunque importante rimarcare l’ampio spettro di modalità con cui le realtà italiane stanno attuando i programmi di smart working. Infatti, benché il paradigma dello smart working assuma una riprogettazione degli spazi (bricks), tecnologie (bytes) e comportamenti (behaviors), in molte organizzazioni risulta carente tale sforzo di riprogettazione complessiva ed integrato per cui il management si limita a consentire ai dipendenti di lavorare a distanza uno o più giorni alla settimana/mese, senza intervenire e dunque innovare il layout degli spazi fisici, sulle tecnologie in dotazione, sulle pratiche di gestione delle risorse umane. 

Quali credi siano i fattori critici di successo?

Luisa: Il successo, purtroppo, non si basa su una ricetta universale valida per tutte le aziende. Fattori di contesto della specifica realtà presa in esame influenzano in maniera significativa le traiettorie di sviluppo dell’innovazione e ne decretano perciò il successo o, al contrario, il fallimento. Tuttavia, come emerso da numerose ricerche sul tema condotte da altri studiosi ma anche da diverse ricerche field condotte personalmente in aziende che hanno adottato lo Smart Working, un adeguato supporto organizzativo gioca un ruolo di primo piano in un qualsiasi programma finalizzato alla sua implementazione. Come accade per qualsiasi processo di change management, anche nel caso dello [amazon_textlink asin=’8814222576′ text=’Smart Working’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’c7aa8bf5-fc22-11e7-b198-f767c6562624′] è fondamentale far fronte alle perplessità e timori che possono nascere tra i dipendenti, soprattutto quando il cambiamento, come accade ne caso specifico, può portare a una crisi di identità professionale, generare percezioni di discriminazione e ingiustizia organizzativa da parte degli smart worker o il timore che la ridotta visibilità possa compromettere il rapporto di fiducia con i propri capi ma anche con i propri colleghi. Un’efficace risposta, in tale direzione, può essere fornita ai propri dipendenti da parte dell’organizzazione non solo attraverso attività di comunicazione e formazione ad hoc, ma anche con l’offerta di un adeguato set di strumenti tecnologici funzionali per l’efficace svolgimento delle attività a distanza, inclusivi dei connessi servizi di formazione e assistenza tecnica. A fronte del carattere imprevedibile e della natura non lineare del processo di cambiamento è altresì fondamentale considerare il ruolo chiave svolto dai middle manager, dal momento che essi sono al contempo destinatari del cambiamento e esecutori delle decisioni strategiche dei propri responsabili senior. Ciò vuol dire che diventa fondamentale capire in che modo essi rispondono ai piani di cambiamento stabiliti in maniera top-down, dal momento che le loro aspettative e il loro comportamenti influenzeranno la traiettoria evolutiva e dunque il tasso di successo del programma di Smart Working che si intende implementare. In fase di implementazione, è auspicabile, ad esempio, che i responsabili siano essi stessi chiamati ad operare in modalità Smart Working e che utilizzino i canali a loro disposizione (es. telefono e meeting face-to-face) per instaurare e/o mantenere una relazione di fiducia con i singoli smart workers e supportarli rispetto allo svolgimento delle attività ed al raggiungimento degli obiettivi.

 Tommasina: A fronte di una pluralità di fattori rilevanti per gestire la complessità del cambiamento derivante dall’implementazione di programmi di smart working, occorre porre enfasi su una questione emersa come particolarmente rilevante dai casi condotti su imprese che adottano questi nuovi modelli di lavoro. Il riferimento è all’importanza di individuare adeguati sistemi di misurazione delle performance degli smart worker e relativa definizione di percorsi di carriera. Generalmente si ritiene che la principale preoccupazione degli smart workers sia la riduzione delle interazioni sociali con colleghi; l’indagine empirica ha, invece, evidenziato uno scenario più complesso secondo cui una delle principali perplessità degli smart workers attiene all’isolamento professionale, ossia al timore di penalizzazioni di carriera (in termini di benefit, assegnazioni di promozioni e responsabilità, ecc.) dovute alla non presenza e non visibilità al proprio responsabile. Al riguardo, pur riconoscendo l’importanza del [amazon_textlink asin=’0070513600′ text=’Management by Objectives (MbO)’ template=’ProductLink’ store=’antoniosavare-21′ marketplace=’IT’ link_id=’d7c4b642-fc22-11e7-9347-23c96eabc567′] in contesti di smart working, ossia all’esercizio del controllo basato sull’assegnazione di obiettivi rispetto ai quali il lavoratore è autonomo circa le modalità di raggiungimento, è emerso come questo sistema di valutazione da solo non sia in grado di cogliere la complessità dello svolgimento del lavoro a distanza. Ad esempio, il Management by Objectives non tiene conto delle personalità individuali, ossia la circostanza per la quale non tutte le persone hanno la medesima capacità di autogestirsi ed auto-monitorarsi rispetto al raggiungimento degli obiettivi assegnati; al pari trascura di considerare che fattori esogeni, quindi non direttamente controllabili, potrebbero ostacolare l’attività e dunque il raggiungimento degli obiettivi da parte degli smart workers. Ne discende l’importanza di prestare attenzione ai sistemi di valutazione da adattare al contesto specifico dello smart working, considerando il contributo di leve informali, come la fiducia e l’empowerment, per allineare obiettivi individuali ed organizzativi.

Citami una best practice motivandola

Luisa: Recentemente ho avuto l’incredibile opportunità di visitare uno dei nuovi edifici di BNL Gruppo BNP Paribas a Roma, ed in particolare la sede ubicata nei pressi della stazione Tiburtina. Dal confronto con uno dei facility manager impegnato in prima linea nella gestione del cambiamento organizzativo, ho avuto modo di apprezzare il processo strutturato e l’approccio integrato adottato nel progetto SmartBank, fondato, sulla progettazione simultanea di tutte le leve dello Smart Working e nel quale, perciò, la Worplace Strategy è stata trattata come parte integrante di un programma di innovazione di più ampio respiro, molto attento anche alla sfera comportamentale, oltre  che a quella delle tecnologie abilitanti.  Al riguardo, è emersa una forte attenzione a far emergere le difficoltà sperimentate dai dipendenti nel dover affrontare il cambiamento ma anche la scelta deliberata di sperimentare lo Smart Working attraverso progetti pilota che hanno coinvolto in una prima fase proprio le figure professionali chiamate a progettare e gestire il cambiamento su più larga scala.

Inoltre, tra i numerosi elementi interessanti che sicuramente contribuiscono a renderla una best practice, ritengo importante sottolineare lo sforzo di riqualificazione dello spazio urbano associato alla realizzazione del nuovo edificio realizzato nei pressi della stazione Tiburtina. L’azienda ha dichiarato al riguardo l’intenzione a procedere in tale direzione, anche attraverso la costituzione di partnership con le autorità locali, affinché l’area circostante possa svilupparsi ulteriormente, attraverso un accresciuto livello di sicurezza nonché un maggior numero di servizi e attività, fruibili anche dai propri dipendenti.

Tommasina: A mio avviso, una best practice nell’implementazione dello smart working in Italia è rappresentata dalla società Microsoft. Al riguardo, ho visitato recentemente la nuova sede di Milano di cui ho avuto modo di apprezzare lo sforzo di progettazione degli spazi fisici, in termini di postazioni individuali negli open space, aree concentrazione, sale riunioni con differenziato livello di privacy, nonché le aree comuni organizzate con un angolo cucina ed un tavolo da ping pong per favorire lo svago e l’interazione informale. Al pari, è stato interessante constatare che la dotazione tecnologica associata allo smart working non si è limitata agli strumenti standard per lavorare a distanza (es. smartphone) ma è stata estesa per ricomprendere una serie di strumenti atti a favorire la collaborazione anche in prossimità fisica (es. lavagna interattiva). Infine, rispetto alla leva behavior, la responsabile ha sottolineato una maggiore enfasi sui risultati, la cui implicazione tangibile è data dall’eliminazione del cartellino e della macchina segnatempo, e l’accesso allo smart working (per ora) una volta la settimana per tutti i dipendenti, con l’unica eccezione di coloro che svolgono un tipo di attività che richiede reperibilità fisica.

Come vedi il mondo del lavoro tra 10 anni?

Luisa: L’innovazione tecnologica sarà sicuramente il principale driver dei cambiamenti a cui assisteremo nel mondo del lavoro. Grazie a tecnologie sempre più pervasive, come il cloud, il social computing, i big data, mi aspetto che la flessibilità e la mobilità dei lavoratori aumenterà sempre di più e che le organizzazioni , di conseguenza, diventeranno sempre più virtuali. Un aspetto particolarmente importante da considerare è che i mutati pattern di uso della tecnologia da parte dei lavoratori produrranno degli effetti anche nei comportamenti individuali e nelle interazioni orizzontali e verticali, alterando i tradizionali assetti di potere, la distribuzione della conoscenza, il significato della “gerarchia” organizzativa. Al contempo la tecnologia contribuirà a rendere rapidamente obsolete le competenze e renderà la formazione continua un must imprescindibile, anche internamente alle organizzazioni. Infine, si accrescerà il divario esistente tra i giovani lavoratori ( i cosiddetti “millenials”) e quelli delle precedenti generazioni. Non ci si riferisce solo ad un gap di competenze tecnologiche da colmare. La scarsa familiarità e conoscenza delle nuove tecnologie spesso è il riflesso di una cultura diversa, che include una rigidità di pensiero e un’inerzia al cambiamento.

Tommasina: A mio avviso, il mondo del lavoro sta cambiamento rapidamente sia per i lavoratori, da cui ci aspetta un’enfasi sempre maggiore sulla responsabilizzazione ed all’autonomia, sia per i manager, il cui ruolo assume i profili del coach per gli smart workers.

 


 Luisa Errichiello

Ricercatore presso l’IRISS CNR, studia i processi di innovazione organizzativa nelle imprese di servizi e in particolare i modelli di lavoro flessibile abilitati dall’ICT.  Attraverso casi studio, ha analizzato le  trasformazioni organizzative dello smart working, approfondendo i cambiamenti nelle strutture di controllo, l’uso delle tecnologie, il ruolo degli spazi di coworking.  Al riguardo, è coordinatore in Italia del network internazionale “Research Group on Collaborative Spaces”. Le ricerche sul tema sono state presentate a convegni e workshop accademici e operativi e pubblicati su volumi e riviste internazionali e nazionali.

Tommasina Pianese

Assegnista di ricerca presso l’IRISS CNR. Si occupa di comprendere, attraverso casi aziendali, i cambiamenti organizzativi e manageriali derivanti dall’introduzione dello smart working. Si interessa di smart work centers ed è coordinatore in Italia del Research Group on Collaborative Spaces. Ha pubblicato contributi e partecipato a conferenze e workshop rivolti al mondo accademico, HR manager, consulenti aziendali e dirigenti.

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